LUOGHI DI PREVENZIONE - Centro Regionale di Didattica Multimediale per la Promozione della Salute
Cosa si intende per Empowerment di Comunità
 
La partecipazione attiva della comunità nell’elaborazione dei programmi che hanno un impatto sulla salute è una delle strategie raccomandate da oltre vent’anni dalla Carta di Ot­tawa (OMS). La «Promozione della salute agisce attraverso una concreta ed efficace azione della comunità nel definire le priorità, assumere decisioni, pianificare e realizzare strategie che consentano di raggiungere un migliore livello di salute».
Più di recente la Carta di Bangkok (OMS) ribadisce come «Le politiche e le partnership volte ad aumentare il potere della comunità, migliorare la salute e l’uguaglianza dovrebbero essere al centro dello sviluppo globale e nazionale».
È evidente come la partecipazione assieme alle politiche intersettoriali, può realizzare concretamente la promozione della salute di una comunità. I processi partecipativi sono percorsi di grande complessità, ma anche una grande opportunità per condividere obiettivi di salute.
Spesso il concetto di partecipazione viene interpretato in modo non univoco, da forme puramente simboliche a iniziative che prevedono invece un forte investimento della comunità nella determinazione delle scelte che la riguardano.
I livelli partecipativi possono assumere diversi connotati: dalla partecipazione intesa come “esserci, far parte di un processo”, che richiama il concetto di coinvolgimento e fornisce opportunità di riconoscersi e di essere legittimati nei propri problemi e nelle proprie potenzialità, a una partecipazione intesa come “contare, influenzare le scelte ” dove è implicita la capacità di intervenire nel processo decisionale, anche da parte di coloro che normalmente sono esclusi dall’elaborazione dei programmi di salute.
La partecipazione è definita come «il contributo che ciascun attore dà alla definizione del processo di orientamento alla sua concreta attuazione. Rappresenta il processo attraverso il quale i normali cittadini possono contribuire alla formazione delle decisioni rispetto a questioni che riguardano la comunità e di conseguenza la loro vita. Nella comunità locale essa può prendere la forma della rete, della coalizione e dei patti territoriali» (Martini).
Come operatori sanitari occorre chiedersi se il termine “partecipazione”, così tanto abusato e poco realmente praticato, sia ravvisabile solo come strategia di fondo o rappresenti realmente un obiettivo del nostro agire. Chi attiva una strategia partecipativa stringe un’alleanza, ma spesso mantiene il controllo sia della distribuzione delle risorse sia della presa di decisioni, pur coinvolgendo nelle sue azioni diversi rappresentanti della comunità, in molti casi gruppi sociali privilegiati, univocamente considerati rappresentanti delle istanze di un gruppo.

In un approccio di questo tipo gli obiettivi sono predefiniti, senza che la partecipazione sia enfatizzata come strumento realmente necessario al loro raggiungimento. L’azione è proposta con scarsa attenzione all’adesione fra la percezione del bisogno da parte della comunità e il tipo di offerta che viene organizzata. L’attenzione al coinvolgimento della comunità si traduce nella necessità di richiedere informazioni, attra­verso il dialogo diretto degli operatori con i cittadini spesso attraverso una comunicazione prevalentemente unidirezionale centrata su problemi e temi predefiniti, con un’univoca distribuzione di responsabilità. L’approccio partecipativo si colloca all’interno dell’approccio bio-medico di salute.

Reali obiettivi partecipativi ricercano invece l’autonomia e l’autodeterminazione della comunità e rappresentano un elemento centrale della progettazione che da solo giustifica gli interventi di promozione della salute, intesi come “sostegno alla crescita e alla mobilizzazione” della comunità. Questo modello può facilitare lo sviluppo sociale, attraverso il quale gli individui o i gruppi assumono il controllo della propria vita e la capacità di modificare i contesti in cui vivono. Tale approccio, che si colloca all’interno del modello socio-ecologico di salute, è realmente centrato sulla costruzione di una reale partecipazione della comunità alle scelte che la riguardano: richiede la condivisione delle responsabilità nella presa di decisioni, all’interno di relazioni negoziate e modelli di comunicazione bidirezionale, intorno a problemi e temi sempre in corso di definizione, alla ricerca e costruzione delle risorse utili alla comunità nel condurre questo processo di emancipazione.
L’approccio partecipato alla salute richiede prioritariamente la reale consapevolezza dell’importanza di promuovere le competenze della comunità nei confronti della tutela della salute, con una responsabilizzazione diffusa dei diversi attori rispetto ai problemi e alle scelte conseguenti. È in questo presupposto che si collocano le maggiori difficoltà operative.
Le alleanze interdisciplinari tra diversi professionisti o con diversi gruppi di popolazione possono essere rappresentate come una soluzione di continuità in relazione ai diversi livelli della collaborazione:
  • lavorare in rete: il coinvolgimento di due o più individui e/o organizzazioni verso un mutuo beneficio vede essenzialmente nel dialogo e nello scambio di informazioni gli elementi essenziali per realizzazioni comuni e creazioni di supporti alle loro azioni;
  • cooperazione: prevede relazioni poco formalizzate e di breve periodo senza una chiara definizione di mission e strutture comuni; l’obiettivo primario è ridurre al minimo la duplicazione delle azioni ma ogni organizzazione mantiene le proprie risorse e autorità;
  • coordinamento: prevede relazioni più formali e di più ampio respiro per la costruzione di proposte e programmi comuni; in questo caso sono necessarie una pianificazione comune, la distinzione dei diversi ruoli, la definizione di responsabilità e la messa in comune di alcune risorse;
  • collaborazione: prevede che le diverse organizzazioni si riorganizzino in nuove strutture con ruoli formali per perseguire mission e incarichi comuni; in questo caso è necessaria una forte condivisione nella presa di decisioni, i partner condividono risorse e risultati con alti livelli di fiducia reciproca.
 
Ciò che differenzia queste diverse forme di alleanza è fondamentalmente il grado di formalizzazione dell’accordo, la complessità della proposta di lavoro comune, l’intensità dei collegamenti e il livello di condivisione dei rischi e dei benefici.
Nella pratica quotidiana i percorsi da presidiare a sostegno di efficaci processi partecipativi sono essenzialmente:
  1. Individuare i diversi attori sociali della comunità (volontariato, associazionismo, movimenti di rappresentanza, imprese sociali, movimenti professionali, strutture di servizio, enti pubblici ecc.). Aprire uno spazio di partecipazione può servire a far incontrare, per superare pregiudizi e creare le condizioni che permettano di costruire rapporti di fiducia, di sviluppare reti e integrazione tra i diversi attori istituzionali e della società civile. Assume in tal senso un ruolo fondamentale la valorizzazione del “capitale sociale” inteso come «l’insieme di quegli elementi dell’organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui» (Putnam).Esiste una correlazione tra isolamento sociale e cattiva salute e i meccanismi chiamati in causa sono essenzialmente legati a: 
  • influenza sui comportamenti correlati alla salute (più informazioni, esempio positivo, controllo su comportamenti devianti);
  • influenza sull’accesso ai servizi e alle risorse (più servizi, più accessibilità);
  • influenza sui processi psicosociali (autostima, supporto affettivo, rispetto reciproco).
  1. Lavorare sulle motivazioni e sui diversi interessi: in termini di servizio, di volontà di cambiamento, di giustizia e di difesa dei diritti, ma anche di solidarietà e di apertura cognitiva.
  2. Sviluppare una buona comunicazione: sia interna alle organizzazioni, al gruppo, sia con i partner esterni.             
  3. Rafforzare il senso di appartenenza della comunità, intesa non solo come accezione territoriale, ma anche relazionale, potenziando un modo di pensare che permetta di sentirsi “parte di un tutto integrato”. Il senso di appartenenza è «il sentimento provato dai membri di appartenere, di essere importanti per gli altri e per il gruppo e una fiducia condivisa nella possibilità di soddisfare i propri bisogni come conseguenza dell’impegno di stare insieme» (Mc Millan, Chavis).
  4. Definire il tipo di impegno che ogni soggetto coinvolto si assume nei confronti degli altri
  5. Individuare gli ostacoli all’avvio, allo sviluppo e al mantenimento della partecipazione: l’asimmetria informativa, le valutazioni riduttive o negative dei cittadini, la disorganizzazione, le scarse dotazioni, i vincoli normativi, politici e professionali. Tutto ciò induce spesso a conflitti la cui gestione è una delle competenze più critiche da affrontare e può innescare demotivazione e crollo della partecipazione.
Parecchie esperienze sono state avviate nel nostro territorio secondo questo approccio che richiede prioritariamente la reale consapevolezza dell’importanza di promuovere le competenze della comunità nei confronti della tutela della propria salute: sostenere competenze, conoscenze e un ruolo attivo del cittadino, con l’obiettivo di una responsabilizzazione diffusa dei diversi attori rispetto ai problemi e alle scelte di salute.
Il cambiamento comportamentale si realizza, infatti, se coesistono il principio di competenza della comunità su quanto la riguarda direttamente, il desiderio di rendere la collettività autonoma e prima protagonista degli eventi che la riguardano e la disponibilità a integrare il proprio punto di vista.
 
La conoscenza della propensione al cambiamento di una comunità è essenziale per progettare interventi efficaci per la salute. I comportamenti si distribuiscono secondo una curva gaussiana:
  • innovatori: rappresentano il 2,5% della popolazione e sono coloro che adottano subito il nuovo comportamento proposto;
  • disponibili al cambiamento: rappresentano il 13,5% e sono coloro che adottano abbastanza rapidamente il nuovo comportamento;
  • temporeggiatori: rappresentano il 34% della popolazione; possono essere classificati come “gli scettici” ossia «non sono gli ultimi ad abbandonare la vecchia strada, ma non i primi a percorrere la nuova»;
  • riluttanti al cambiamento: rappresentano il 34% della popolazione; per modificare il proprio comportamento richiedono che i benefici del cambiamento siano chiaramente dimostrati;
  • resistenti al cambiamento: rappresentano il 16%.
Questa distribuzione giustifica le diverse metodologie di intervento. Gli innovatori e i disponibili al cambiamento (16%) modificano il loro comportamento anche al solo mutare delle conoscenze, pur con tempi diversi. Si tratta di persone con alto titolo di studio e buona consapevolezza delle proprie risorse personali. In questo caso gli interventi puramente conoscitivi sono sufficienti a incidere sui comportamenti. La letteratura scientifica evidenzia come «le campagne sugli stili di vita hanno un effetto più marcato sulla quota socialmente più elevata della popolazione che è in grado di modificare i propri comportamenti pericolosi più ampiamente e più celermente delle fasce più deboli».
Ma una persona o un gruppo già bersaglio di interventi di tipo informativo, che non hanno cambiato il loro comportamento, si può presumere appartenga agli altri gruppi che rappresentano complessivamente l’84% della comunità. In questi casi i risultati possono essere ottenuti solo affiancando altri tipi di azioni da quelle ambientali e di contesto, ad azioni specifiche sui gruppi di riferimento che richiedono l’assunzione di nuove capacità operative. In particolare competenze in termini di innovazione metodologica e nuovi modelli di lavoro in uno spazio di condivisione, confronto ed etica.
 
È necessario, accanto alla dimensione razionale più strettamente legata alle competenze sanitarie, sviluppare quella ideativa per promuovere cambiamento. Occorre conciliare la definizione di obiettivi di salute in funzione della soluzione di problemi conoscitivi e interpretativi della realtà attraverso le scienze sperimentali e i loro metodi, con l’esplorazione di differenti scenari che permettono di raggiungere ciò che desideriamo. La persona dotata di personalità deve poter partecipare alla costruzione dei fenomeni sociali che la riguardano. In questo senso il principio di razionalità deve cedere il passo al “costruire con”: la prevedibilità e la riproducibilità assoluta non sono più elementi esclusivi su cui fondare le proprie scelte di azione.
Si deve porre l’accento invece sulla dimensione collettiva della salute e dei comportamenti a essa correlati e sui modelli partecipativi che si propongono di modificare positivamente i livelli di salute di una comunità lavorando all’interno di questa dimensione.
Ciò consente di «pensare alla comunità in una prospettiva di sistema, avendo presenti le connessioni e le dipendenze tra le varie parti e fra queste e i soggetti individuali in un’ottica di “rete” che deve rifiutare la logica degli interventi parziali».
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